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al testo di Emilia Filocamo
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Ho fatto un sogno, un sogno rugiada, alambicco, una placentina sturata bene dal fagottino, sognato presto, all'oretta -missile che dalla fonderia del buio ti raffredda al giorno, non di lunedì, il mio sogno tutto uguale al papà mercoledì. Tu eri in teca come un vishnù, murato ed occultato, retto nella pancia di una mansarda mai vista, casa sconosciuta, e tutta realizzata in su. Dietro le tue spalle un bollitore-guscio, una caldaia, un porro bianco, ti stava a pennello, tipo Invicta da lumaca, equipaggiamento dell'astronauta nel benedetto dì dell'allunaggio. Io ti facevo un segno, uno di quelli sciocchi che si fanno quando si commette una marachella, un tranellino ruba biscotti, smorfia aerea nella foto di fine anno, e tu facevi su o giù, a seconda del mio nascondino telecomando. Ti tenevo là, e di riserva, come si tengono erba cipollina, timo e curcuma, comprate, erano in lista. Di quelle cose che apri la bocca al mostro pensile e ti dici serena se stanno buone in panchina ad esalare il loro alito millefiori. E tu pistone, infiorescenza, venivi su al mio richiamo per poi sparire se la situazione era crac. Ho fatto un sogno, ti tenevo lì, non pronto all'uso , di proprietà. Ma tu non sei se non dei sogni, dei morticini che non hanno nome, solo parvenza e son vestiti da postini, da corridori, da fresie, o da aquiloni. |
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